Le “reggitrici” della Resistenza

Lavori in corso nella rete degli Istituti della Resistenza e dell’età contemporanea della Toscana per una ricognizione del contributo delle donne toscane alla lotta di Liberazione. A colloquio con la storica dell’Università di Firenze Francesca Cavarocchi

 

***

 

Un lungo silenzio, politico e culturale, ha segnato nel corso del Novecento ed oltre la storia del contributo femminile al movimento della Resistenza contro il nazifascismo. Un oscuramento precoce e non isolato, se si pensa ai fenomeni, del tutto simili per caratteristiche e in fondo anche per origine, che hanno riguardato, ad esempio, il canone letterario ed artistico nazionale. Eppur si muove, verrebbe da dire, osservando l’attuale progressivo risveglio degli studi e dell’attenzione, anche scientifica, dedicati al tema. L’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea ha deciso, in questo 2025 ricco di significativi anniversari, primo fa tutti l’Ottantesimo della Liberazione, di dedicare energie e cura a tutte quelle donne che, con i ruoli e le responsabilità più varie, contribuirono alla nascita e alla costruzione della nuova Italia. A Francesca Cavarocchi, ricercatrice di Storia contemporanea all’Università di Firenze, è stata affidata, insieme ad Ilaria Cansella e ad altre studiose e studiosi, una ricognizione di questa presenza sul territorio toscano, con lo scopo di comporre in modo attendibile e completo un quadro che, già ricco di materiali e pubblicazioni regionali e locali, appare ancora incompleto e frammentario.

 

Dottoressa Cavarocchi, come avete pensato di avviare la vostra ricerca?

Ricorrendo alle fonti. In primo luogo stiamo interpellando il database dei riconoscimenti partigiani, che è stato digitalizzato dalla Direzione generale degli archivi. In questo “magazzino” risultano circa 800 richieste di riconoscimento da parte di altrettante donne. Èpossibile stimare che solo in parte, 400, forse 500 di queste domande siano state riconosciute e le altre non accolte. Tuttavia questi dati  sono fortemente parziali. Dobbiamo anche considerare le donne impegnate nella Resistenza e cadute sul campo, rastrellate, processate e giustiziate; tutte coloro che a guerra finita non inoltrarono la domanda di riconoscimento, perché non erano informate di questa possibilità, che offriva qualche piccolo vantaggio nella vita civile, o che non lo ritenevano utile o necessario. O perché, semplicemente per ragioni personali, non volevano farlo.

 

Quindi se il semplice “conteggio” complessivo dei partecipanti alla lotta partigiana è in qualche modo carente, quello riguardante le donne è particolarmente sottostimato?

Proprio così. L’impressione è che sia stato in qualche modo più semplice riconoscere i combattenti, e quindi anche “le” combattenti piuttosto che quell’insieme di persone, e moltissime donne tra queste, che non hanno imbracciato le armi ma hanno offerto in altri modi il loro contributo: sul piano logistico, organizzativo, all’interno dei luoghi di lavoro, nelle campagne, con atti di assistenza, di aiuto, attività di collegamento, di informazione, di propaganda e in mille altri modi diversi. E tutto questo sospinte da diverse ispirazioni ideali o anche semplicemente da sentimenti di solidarietà personali o locali a cui la politicizzazione vera e propria è seguita. Si tratta di una pluralità di contributi che è difficile incasellare e certo non lo si fece subito dopo la guerra.

 

Quali sono, ad un primo approccio, le caratteristiche di questa partecipazione che emergono?

I profili ricorrenti ci parlano di donne giovani, spesso molto giovani, provenienti dalle più diverse classi sociali. Anche la Resistenza delle donne fu dunque un fenomeno interclassista, con preponderante base operaia e contadina. Queste ragazze arrivarono all’impegno attraverso una pluralità di percorsi ideali e anche pratici. Dal punto di vista territoriale il fenomeno riguarda l’intera regione, fu diffuso e capillare, non concentrato solo nelle città o nelle principali aree in cui operarono le bande. Una cosa che colpisce particolarmente è la loro chiara consapevolezza di stare agendo per costruire un futuro diverso e migliore. Il loro impegno politico fu quindi spesso un percorso che, nato e iniziato con la Resistenza, si prolungò lungo tutta la loro biografia, un filo che sarebbe molto bello ricostruire.

 

Potrebbe ricordare qualche nome delle personalità femminili più significative?

È difficile fare dei nomi perché le storie significative sono numerose. Passarono dall’impegno nella Resistenza due costituenti, come la comunista Teresa Mattei e la socialista Bianca Bianchi; a Lucca fu attiva Maria Eletta Martini, destinata a diventare un’importante esponente della Democrazia cristiana. Fra le donne decorate è molto conosciuta la vicenda della medaglia d’oro Anna Maria Enriques Agnoletti, archivista aderente al Movimento cristiano sociale, torturata e giustiziata a Cercina nel giugno 1944. L’impiegata azionista Gilda Larocca partecipò anche lei alle attività della radio clandestina Co.Ra di Piazza d’Azeglio a Firenze; destinata alla deportazione, riuscì a fuggire e riprese a Bologna l’attività cospirativa. Diverse furono le partigiane combattenti specie nelle brigate Garibaldi, come le sorelle Liliana e Lina Cecchi di Pistoia o Cristina Lenzini di Pisa, uccisa probabilmente durante uno scontro a fuoco; la comunista Laura Seghettini di Pontremoli divenne vicecommissario di brigata, un incarico molto rilevato nell’organizzazione delle bande. Altra figura la cui memoria è stata recuperata solo negli ultimi anni è quella di Norma Parenti, seviziata e fucilata a Massa Marittima dopo mesi di intensa attività partigiana. Importante è stato negli ultimi anni il lavoro di ricercatori e ricercatrici che collaborano con la rete degli istituti della Resistenza nella riscoperta di queste biografie. È molto significativo anche quello che ci raccontano le storie famigliari, perché queste donne si formarono spesso in ambienti che avevano coltivato nel ventennio una silenziosa e difficile opposizione al regime.

Qual è lo stato dell’arte della ricerca storica in questo campo?

Dopo la guerra hanno pesato a lungo la sottovalutazione e il silenzio che per molto tempo hanno “coperto” la presenza delle donne nella Resistenza. Tuttavia a partire dagli anni Settanta e Ottanta qualcosa si è risvegliato, negli studi e nella memorialistica. Ricordo ad esempio il volume “Donne e Resistenza in Toscana”, del 1978 (disponibile in rete in pdf, ndr.) e anche tutte le numerosissime pubblicazioni che sono comparse a livello locale, provinciale. Siamo poi entrati in un’altra fase storica, che si potrebbe definire di revisionismo, durante la quale è stato messo in discussione il mito della Resistenza, la sua dimensione celebrativa, ed è emerso un conflitto di memorie e rappresentazioni fino a un vero e proprio “anti-antifascismo”. Negli ultimi anni assistiamo a una riscoperta della Resistenza, sia a livello scientifico che di grande pubblico, come dimostra il successo di un altro bel libro,  “La Resistenza delle donne”, che Benedetta Tobagi ha dato alle stampe nel 2022

Susanna Cressati

Altri approfondimenti

Inaugurazione mostra “Firenzuola attraverso la guerra”

Presentazione di L. Polese Remaggi “Il nemico tra di noi. La sinistra internazionale di fronte alle repressioni sovietiche (1918-1957)”

Comunicato CGIL Firenze e SPI CGIL Sesto Fiorentino

Regioni e welfare state: politiche sanitarie, sociali e del lavoro