Toscano di origine, al confine fra le province di Pistoia e Prato, psicologo e giornalista, Massimo Cirri ha lavorato per 25 anni nei servizi pubblici di salute mentale. Da molto tempo conduce Caterpillar su Rai Radio 2. Profittando di un’antica conoscenza, cinque le domande per la newsletter dell’ISTR: sul 25 aprile, sulla sua attualità e su altro. Ad esempio sul senso di essere cittadini che resistono. Le risposte non tradiscono la natura, anche satirica, del programma radiotelevisivo per cui Cirri è famoso.
Ha ancora senso, 80 anni dopo, fare festa per la Liberazione dal nazifascismo?
Credo di sì. Per una serie di motivi. Il primo è che quella della festa è sempre una dimensione collettiva.
Si festeggia sempre con qualcuno. Festeggiare da soli con una bottiglia di sambuca non è mai bene e fa anche male al fegato. Di incontrarsi insieme in un corteo, camminando accanto a qualcuno che non conosci, o trovarsi vicini, per caso, a una commemorazione per tre partigiani davanti ad un cippo con i nomi – “Ma quanto erano giovani?” – muove qualcosa.
In tempi come questi, schiacciati nelle solitudini delle nostre vite, con echi di guerre e un futuro minaccioso, il bisogno e la voglia di essere con gli altri, testimoniare anche restando muti, sola presenza, fa bene.
Poi si può anche brindare. E va bene anche la sambuca, ma poca, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che fa male, sempre.
C’è poi nel 25 aprile – e questo è un altro motivo – una dimensione fondativa: un “prima” e un “dopo”, un ricominciare, una luce dopo il buio della guerra e la miseria ridicola del fascismo.
Una resurrezione laica, una festa della luce. Quest’anno, 80 anni dopo l’aprile 1945, Pasqua e 25 aprile cadono vicini, separati da pochi giorni. Per noi marxisti paranormalisti è un ottimo segno. Un’occasione di riflessione.
Contro cosa, oggi, siamo chiamati a “resistere”?
Forse tocca distinguere: allora, 80 anni fa e più addietro ancora, era una dicotomia stretta. Toccava scegliere tra bene e male, giusto e sbagliato, libertà o fascismo, dignità o ridicolo. (La miseria più grande del fascismo, non so perché, mi è sempre parsa il suo essere ridicolo e meschino. Problemi miei).
Oggi possiamo avere il lusso di non resistere a nulla. Anche alle tentazioni di quel ridicolo, il fascismo, ridisegnato come identità. Che affascina tanti.
Ne resto personalmente stupito, ma non capisco niente di quello che ci succede intorno. Mi pare, anche questa, una grande possibilità di libertà germinata quei mesi furiosi tra il 1943 e il 25 aprile di 80 anni fa, dalla morte di quei ragazzi così giovani.
Strumenti di comunicazione sempre più potenti possono far male alla democrazia?
Credo di sì. Facebook è pericoloso per la democrazia, di suo.
Facebook mischiato alla solitudine sociale crea, alimenta, riproduce una miscela corrosiva e letale davvero per la salute mentale di chi ci sta dentro. Perché genera infelicità.
Mi pare programmato per quello, per creare uno stato di tensione perenne: interazioni veloci, nessuna profondità, tempo che si brucia.
Avete mai visto uno che esce da Facebook più contento di quando c’era entrato? Degli altri strumenti di comunicazione, che sono tanti davvero, non so bene perché passo tutto il mio tempo su Facebook.
Come il sogno dell’Europa unita può tornare a scaldare i nostri cuori?
Pensando al peso diverso delle cose: io (e tutti quelli nati qui in Europa dal 1945 in avanti), tutti quelli che hanno meno di 80 anni, abbiamo avuto una vita senza guerra.
Non è successo a mio padre, non è successo a mio nonno, non succedeva mai nei secoli dei secoli. Nei secoli, a intervalli irregolari ma mai lunghi quanto una vita umana, Francia e Germania si facevano guerra e trascinavano gli altri nel gorgo.
Adesso, con l’Europa, non sta succedendo. Succede ai suoi confini, è successo in ex Jugoslavia ed è stato ed è lancinante. Ma la guerra non ha più attraversato direttamente le nostre vite. Perché c’è l’Europa.
In cambio con l’Europa abbiamo un contratto sociale che va oltre i nostri confini, abbiamo degli obblighi, c’è il terribile Ce lo chiede l’Europa.
C’è l’obbligo di bere a canna con il tappo che non si stacca dal collo della bottiglia di plastica. L’Europa, ridotta all’osso, mi pare questo: la scelta tra una guerra o il tappo di traverso.
Anche in Italia citadini sempre più sfiduciati e assenti dal voto. Tutta colpa di altri/altro o un po’ di colpa sta anche nei cittadini?
Sei dannatamente cattolico, Mauro: colpa viene da lì. E mi pare troppo o – contraddizione – troppo poco. Parlerei di responsabilità, scelta.
Scegliere di non scegliere: c’è dentro tanto, lo sappiamo. Disincanto, incapacità della classe politica – della sinistra, mi pare, un po’ di più – spirito dei tempi.
Analfabetismo culturale, molto, con l’incapacità di comprendere che come saremo curati noi anziani cittadini è direttamente collegato alle scelte che facciamo quando c’è da andare a votare.
Per questo credo davvero, laicamente, che chi non va a votare andrà all’inferno. E tra le sue fiamme, con dolore e tormento, brucerà per l’eternità.
Che non dura quanto la Maratona Mentana che segue ogni elezione ma è lunghetta.
Mauro Banchini