Com’era la vita al confino attraverso lo sguardo di Ernesto Rossi. Antifascista e artista, sfidava il regime anche con l’arma dell’umorismo
Il Manifesto di Ventotene è stato recentemente al centro del dibattito politico dopo che la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un discorso alla Camera, ha preso le distanze dall’idea di Europa disegnata nel 1941 da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi. Il documento fu scritto dai due antifascisti durante il confino sull’isola, e fu poi pubblicato grazie al lavoro di Eugenio Colorni. Prigionieri nel domicilio coatto in mezzo al mar Tirreno, di fronte alla costa tra Lazio e Campania, Spinelli e Rossi continuavano la loro opposizione al regime fascista con le uniche armi che avevano lì a disposizione: il pensiero critico e la penna. Con queste armi immaginarono “il dopo”: ovvero un futuro per l’Italia e per l’Europa dopo la spaventosa dittatura.
A dire il vero, il pensiero critico e la penna non erano le sole armi possibili, almeno per Ernesto Rossi. Economista, giornalista, tra i fondatori di Giustizia e Libertà, Rossi aveva anche un’altra risorsa: una vena artistica e uno spiccato senso dell’umorismo. Illustrazioni, pupazzetti e caricature hanno accompagnato tutta la sua vita. Alla lucidità politica dell’autore del Manifesto di Ventotene, si accompagnava uno sguardo ironico sul mondo, la cui testimonianza più famosa è proprio il Vassoio di Ventotene. Si tratta di un comune vassoio di legno sul quale Rossi ha dipinto scene di vita quotidiana dei condannati al confino. Firmato e datato 1940, è stato dipinto come regalo di nozze per il nipote Maurizio Ferrero. È un’opera d’arte in piena regola, non solo perché è stata creata da un artista, ma anche perché è un documento storico del confino, dipinto proprio da chi lo stava subendo.
Umorista anche nei momenti più drammatici, Rossi firmava le sue lettere dal carcere con il disegno di un pupazzetto di nome “Esto”, sbeffeggiando così il regime, e soprattutto gli uffici della censura. Ci sono pervenute molte vignette di Rossi sui suoi giorni di prigionia a Regina Coeli.
Oltre a disegnare scenette satiriche, Ernesto Rossi coltivava anche una passione per i burattini, che aveva ereditato dalla madre Elide, attrice dilettante. A questa sua passione è stato dedicato un bel docufilm, «Le parole di Ventotene», per la regia di Marco Cavallarin, Marco Mensa e Elisa Mereghetti, e le musiche di Paolo Fresu.
Cosa ci racconta il Vassoio di Ventotene? L’isola era il più grande confino d’Italia, dove erano relegati centinaia di antifascisti ma anche anarchici e criminali comuni. Rossi vi arrivò nel 1938 dopo aver scontato alcuni anni a Regina Coeli a causa della sua attività clandestina. Il contesto era decisamente unico. Era una sorta di “società ai margini”, il cui futuro era appeso alle più assolute incertezze. Rossi, volendo fare questo regalo di nozze – e immaginiamo che non avesse altre possibilità di procurarsi oggetti da donare – ebbe dunque l’idea di ritrarre su un vassoio cinque scene di vita quotidiana su quell’isola battuta dal vento e popolata da anime in pena. Sono scene surreali e bonarie delle peregrine esistenze dei confinati, ma la preziosità storica è che vi sono ritratti i protagonisti reali della lotta al regime fascista. Il Vassoio è dunque un pezzo di storia della Resistenza.
Ad esempio, nella scena «La Passeggiata», alcuni confinati parlano a piccoli gruppi, fumano, aspettando la liberazione e il riscatto. Si riconoscono, tra gli altri, Sandro Pertini, gli stessi Spinelli e Colorni, e altri antifascisti come Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro con la moglie Maria Bertoncini, conosciuta sull’isola. Ma ci sono anche uno studente di ingegneria abissino, Menghestù, la provocante “Biondona”, una prostituta finita anche lei al confino, e due testimoni di Geova.
Nell’altra scena, «Il Brindisi», Ernesto Rossi ha ritratto sé stesso, in piedi e con un bicchiere in mano, assieme ai compagni di Giustizia e Libertà seduti a una mensa. Nello Traquandi, con il quale Rossi aveva condiviso l’esperienza del foglio antifascista clandestino «Non mollare», è ritratto come il capomensa; gli altri sono seduti al cenacolo, e festeggiano la liberazione del triestino Nino Woditzka, evento che però veniva continuamente annunciato e poi rimandato dalle autorità. Anche qui, sono raffigurate altre figure storiche come Riccardo Bauer, Marco Maovaz, fucilato dai nazifascisti a Trieste, Francesco Fancello, e l’anarchico Giobatta Domaschi, poi morto nel campo di concentramento di Mauthausen. Hanno tutti condiviso gli anni del confino a Ventotene.
Il Vassoio di Ventotene è oggi custodito dall’ISRT a cui è stato donato da Linda Traquandi: era appartenuto al marito Nello, che l’aveva ricevuto dal primo proprietario.
Manuela Zadro